Milano, Gloria Maria Gallery, Marco Cadioli

Marco Cadioli

 

 

 

Milano
Gloria Maria Gallery
Marco Cadioli
Abstract Journeys
26 gennaio - 22 febbraio 2012

www.gloriamariagallery.com   

 

Gloria Maria Gallery presenta la mostra personale di Marco Cadioli Abstract Journeys a cura di Vito Campanelli. Abstract Journeys è una serie di immagini tratte da schermate di Google Earth che esplorano molteplici superfici e forme della crosta terrestre, che sono state trasformate dall’uomo in composizioni astratte geometriche.

 

 

Vertigini di sublime tecnologico
di Vito Campanelli

 

Abstract Journeys è la prima mostra personale di Marco Cadioli a Milano, sua città natale. Dopo tanto girovagare, in Rete e nell’infinita galassia di festival e manifestazioni che caratterizzano l’eterogenea scena dell’arte digitale, si è tentati di pensare che è finalmente tornato a casa. Nulla di più sbagliato, non si tratta infatti di un approdo ma di un’ulteriore tappa, l’ennesima di un viag­giare che per l’artista milanese è la modalità di percepire e conoscere le cose.
“Bisogna essere affacciati su una piazza da tutti e quattro i punti cardinali per conoscerla a fondo, anzi bisogna averla lasciata anche in tutte e quattro le direzioni. [...] Così pure le case. Si capisce cosa c’è in esse solo quando si cerca di trovarne una passando davanti alle altre”, così scriveva Benjamin nel bellissimo Diario moscovita (1926-1927). Queste parole rappresentano la migliore introduzione possibile all’opera di Cadioli, aiutano infatti a capire l’urgenza che scandisce i ritmi di una pratica quotidiana protesa costantemente verso la conquista di una nuova prospettiva.
Nel godere delle opere esposte sarà difficile sottrarsi al gioco di individuarvi corrispondenze con i grandi dell’astrattismo europeo del Novecento, ci sarà quindi chi vi troverà ‘tracce’ di un Klee o un di Kandinsky; altri enfatizzeranno le assonanze con le costruzioni di un Moholy-Nagy; altri an­cora immagineranno perfino un legame con i fotogrammi di Luigi Veronesi. Un gioco irresistibile al quale lo stesso Cadioli si è appassionato nella sua ricerca formale, l’idea alla base degli abstract journeys è stata quella di intraprendere un viaggio intorno alla terra, armato di una portentosa lente di ingrandimento tecnologica (Google Earth) e con un obiettivo ben preciso: trovare, tra le forme che gli esseri umani con le proprie incessanti attività danno alla superficie terrestre, motivi pittorici riconducibili all’astrattismo europeo. Eccolo dunque soffermarsi su paesaggi che sembrano usciti dall’officina grafica del Bauhaus, per passare – dopo pochi click del mouse – a composizioni di elementi naturali e artificiali che riportano alla mente i modelli utopici di El Lissitzky.
Proprio l’artista russo aveva sostenuto che i miopi vedono “solo la macchina” nelle opere del cos­truttivismo, mentre tali esperienze artistiche mostrano che è impossibile stabilire un confine certo tra matematica e arte o tra un’opera d’arte e un ritrovato tecnologico (El Lissitzky e Hans Arp, Die Kunstismen, 1925). Questa considerazione permette di andare oltre la mera affinitàestetica tra la più recente produzione artistica di Cadioli e l’astrattismo, offre infatti l’opportunità di stringere il fuo­co sul punto di contatto più significativo che è costituito proprio dalla relazione tra pattern espres­sivi e formule matematiche. Ciò che percepiamo negli abstract journeys sono forme e colori ma, al di là di tale superficie, una trama invisibile di sequenze numeriche rappresenta la reale architettura delle opere – così come accadeva in Vantongerloo che nelle sue creazioni materializzava e dava forma a formule matematiche. L’artista belga esponente del De Stijl è tra i primi ad approfondire la tematica della traduzione in termini visuali di relazioni matematiche e quindi della formalizzazione di processi combinatori; in Cadioli la continua transcodifica visuale- astrazione matematica-visuale è del tutto implicita, è infatti null’altro che il cosiddetto principio della “rappresentazione numerica”. Come osserva Manovich, si tratta del principio alla base dell’attuale civiltà dei computer e – a ben vedere – la descrizione attraverso una funzione matematica di un’immagine o di una forma è ciò che accade in ogni istante dietro le fantasmagorie che prendono vita su miliardi di schermi in tutto il mondo.
Per il teorico di origine russa “quando i nuovi media prendono corpo sui computer, nascono in forma numerica, ma accade anche che molti nuovi media vengono riconvertiti dai vecchi media” (The Language of New Media, 2001). Nel lavoro di Cadioli non è possibile tracciare una linea netta tra gli oggetti mediali che nascono in forma numerica e quelli che sono “riconvertiti” da media ana­logici, nel processo creativo che dà origine agli abstract journeys si assiste a un vorticoso saltare da un medium ad un altro.
Proviamo a ricostruire questi passaggi: alcuni esseri umani alterano con le proprie attività (si tratta per lo più di attività agricole su scala industriale) il paesaggio naturale, conferendogli forme che ri­portano alla mente motivi pittorici caratteristici dell’astrattismo europeo del Novecento; le immagini di tali paesaggi sono catturate da satelliti orbitanti intorno alla terra; altri esseri umani (lavoratori immateriali, forse impiegati di Google) trasformano le fotografie in texture ovvero in una sorta di pelle che viene applicata sul ‘corpo’ di modelli bidimensionali e tridimensionali che rappresentano il nostro pianeta; i modelli virtuali così ottenuti divengono navigabili attraverso Google Earth, il popolare programma che ci permette di sorvolare il mondo come fossimo su una romantica mon­golfiera; qui Cadioli inizia i propri viaggi e la propria ricerca formale, nel senso precedentemente chiarito di ricerca di forme evocative di alcuni motivi pittorici riconducibili all’astrattismo. Non esiste ovviamente alcun intento estetico nelle attività pratiche con cui gli esseri umani, con il concorso delle macchine, modificano il paesaggio – è l’artista infatti che, guardando da una prospettiva im­possibile (l’occhio del satellite, appunto), legge sul territorio segni che egli interpreta come motivi pittorici. Ad ogni incontro significativo l’artista milanese scatta fotografie, in altri frangenti preferisce invece che il flusso di dati digitali continui a scorrere e realizza quindi riprese video dei paesaggi che incontra nel proprio girovagare. In particolare con le fotografie il cerchio si chiude con il ritorno a una realtà materica e a superfici tangibili. Come è facile intuire, questo continuo transitare da un medium all’altro lascia, ad ogni passaggio, preziose eredità, un ulteriore livello che, aggiungendosi agli altri, fa sì che le opere di Cadioli assumano consistenza attraverso la stratificazione di linguaggi e tecnologie mediali, metafore e convenzioni condivise, grammatiche e procedure specialistiche, forme e significati continuamente centrifugati nei processi sociali. Siamo di fronte a quelle prese in prestito da un medium ad un altro alle quali si riferiva McLuhan in Understanding Media (1964), quando scrive che “il contenuto di un medium è sempre un altro medium”. Questa intuizione è stata più recentemente approfondita, con riferimento ai media digi­tali, da Bolter e da Grusin che hanno interpretato le rappresentazioni di un medium all’interno di un altro come “rimediazioni” ovvero come modalità attraverso le quali i nuovi media digitali “pren­dono in prestito, rendono omaggio o entrano in concorrenza con i loro predecessori” (Remedia­tion, 1999). Tali dinamiche si possono ritrovare attuate negli abstract journeys di Cadioli. In essi la pittura, i motivi pittorici del Novecento che l’artista legge nel paesaggio, è rimediata – poco importa se intenzionalmente o meno – attraverso la tecnologia agricola, la fotografia tradizionale, il texture mapping, la grafica tridimensionale, la fotografia e il video digitali, i software di editing e, dulcis in fundo, la stampa. Cadioli, profondamente consapevole delle implicazioni di ogni suo gesto, si diverte ad utilizzare Google Earth come un pennello attraverso il quale riprodurre sul proprio schermo pattern espressi­vi dell’inizio del secolo passato. Gioca a dare forma alla terra e, in questo suo trasformarsi in demi­urgo, mostra di non essere vittima di quella “vergogna prometeica” che tanto ha afflitto l’individuo moderno nel confronto con le proprie creazioni macchiniche.
Le illusioni di ordinare l’universo in base al proprio gusto estetico offerte dalla tecnica contempora­nea, sono sicuramente tali da indurre quella “inedita vertigine del sublime tecnologico” della quale ci parla Mario Costa, si tratta dunque di un “sublime domesticato” che – in quanto tale – può aprirsi a una fruizione “socializzata e controllata” (Il sublime tecnologico, 1990). Non più quindi il terrore provocato da eventi naturali e da potenze non addomesticate, ma un “terrificante tecnologico” che viene disinnescato, proprio nei suoi aspetti più terrificanti, grazie all’estetica delle comunicazione.
Cadioli, d’altronde, non commette nemmeno l’errore di ritenere che la tecnologia sia piegata ai desideri e alle finalità umane, egli piuttosto – alla Flusser – considera il fotografare un insinuarsi all’interno del mezzo (“apparato” nella terminologia flusseriana) per carpirne i segreti, si connette dunque al medium fotografico, si confonde con esso e sperimenta una situazione nella quale non è più possibile dire chi tra l’essere umano e l’apparecchio sia la variabile e chi la costante.
Il medium fotografico non è un qualche utensile (o macchina) attraverso il quale modificare la realtà esterna, è invece un dispositivo ludico che avvince il fotografo in un gioco nel quale non potranno mai essere esaurite tutte le mosse. L’impossibilità che il gioco abbia fine libera Cadioli da ogni velleità di prevalere sul mezzo, così come da ogni timore di uscirne sconfitto; egli prosegue il suo ‘giocoso girovagare’ in Rete e nel far ciò continua a regalarci vertigini di sublime tecnologico, visioni nelle quali siamo liberi di percepire ciò che ci pare: motivi pittorici astratti, rappresentazioni di algoritmi matematici o paesaggi naturali alterati dall’intervento di “esseri umani”.

 

Link correlati:

Marco Cadioli, Google Melon (2011)

Marco Cadioli aka Marco Manray, Remap Berlin, (2009)

 


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