di SANDRA RENZI
Metti una sera a cena. In affettuosa compagnia e serviti da camerieri-robot. Fantascientifico? No, accade già in Giappone e in Cina nella provincia di Heilongjiang dove in un ristorante 18 robot svolgono tutte le mansioni tipiche dei camerieri. Spaesante? Forse, per chi il servizio non è solo efficienza, indubbiamente garantita, ma anche accoglienza, sorriso, parola calibrata sul momento.
Ciò che stupisce, nell’apprendere dell’iniziativa, è il contesto di nazioni che non difettano certo di manodopera. La domanda allora è: perché sostituire il lavoro umano con dei robot? Già nel 1980 Alberto Sordi, nel film "Io e Caterina" aveva tentato una risposta, a dire il vero in chiave maschilista e poco apprezzata: un ricco imprenditore acquista un sofisticato robot femminile per sbarazzarsi di moglie, amante e colf. Accade poi che anche il robot ha le sue pretese e rivela desideri e fragilità umane. Come a dire che la macchina non esiste se non nella relazione che l’uomo instaura con essa.
Se questo è vero, quale bisogno tipicamente umano rivela il desiderio o la curiosità di rapportarsi con un automa? Non vorremmo cadere in supposizioni semplicistiche che spiegano il fenomeno come possibile riduzione di costi sindacali nella gestione aziendale. Forse dovremmo invece pensare alla tecnologia anche come frontiera di sperimentazione per il configurarsi di nuove forme di identità umana, che nel confronto con la macchina riescono meglio a vedere se stesse.
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