I "giochi istruttivi" potrebbero consentire agli studenti di apprendere in maniera autonoma e collaborativa, con un linguaggio a loro congeniale e comprensibile
di SANDRA RENZI
Il piacere di giocare esce dai confini tradizionali e si estende online, con una novità. Cittadini e imprese, casalinghe e studenti partecipano sempre più ai cosiddetti serious games, i giochi in rete inventati per migliorare la vita della collettività, istruire, aumentare la produttività o convincere i consumatori. La principale caratteristica dei serious games è di essere un po’ videogiochi, un po’ social network e di assumere, pertanto, configurazioni insolite per il gioco, tradizionalmente deputato al solo divertimento. Un esempio è l’App creato da Opower che consente agli utenti di sfidarsi sulla capacità di risparmio di energia elettrica in casa. Negli Stati Uniti il fenomeno aumenta con l’inserimento dei nativi digitali nel lavoro, in Italia è agli albori e il settore dell’istruzione lo guarda con interesse per ridurre il gap tra le tradizionali strategie di insegnamento e le peculiarità cognitive della next generation, modellate sull’interattività e la multisensorialità. Per queste caratteristiche i “giochi istruttivi” potrebbero consentire agli studenti di apprendere in maniera autonoma e collaborativa, con un linguaggio a loro congeniale e comprensibile. Nella prassi tuttavia, la formula dell’edutainment, educare e divertire contemporaneamente, sembra non dare i frutti sperati, poiché il prodotto viene percepito dagli utenti né come un vero gioco, né come una forma di apprendimento stabile e sicura. Occorre forse chiedersi perché ciò che funziona nel web non funziona a scuola.
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